Piero Donati

Prima o poi è capitato a tutti quelli della mia generazione di avere a che fare con giovani di orientamento democratico ai quali mancano però alcune fondamentali chiavi di lettura del recente passato, giovani con i quali non si può dare per scontato, ad esempio, che sappiano che cosa è successo a Milano il 12 dicembre 1969 o che cosa sia stata la Loggia P2.

Il filo della memoria si è interrotto negli anni Ottanta e le conseguenze di questa interruzione, assai più del digital divide, ci pesano addosso come un macigno. Per la prima volta nella storia italiana recente – e contro le stesse leggi della biologia – i giovani non costituiscono l’elemento trainante di quella parte della società che aspira ad un genuino cambiamento. Questo problema, peraltro, non può essere risolto colpevolizzando noi stessi, individuandone la causa nella nostra presunta incapacità di ascolto o nel nostro inguaribile atteggiamento nostalgico da sessantottini incanutiti.

A mio parere, occorre fornire alle diverse generazioni luoghi d’incontro (e di scontro), nei quali le persone possano stabilire relazioni e possano scambiare esperienze. Questi luoghi non possono essere i forum o le piattaforme digitali – di cui nessuno può negare l’importanza ma di cui nessuno, viceversa, può negare i limiti – ma devono essere una versione radicalmente diversa di ciò che furono, in passato, le  Case del Popolo in alcune zone del nostro paese.

Facendo tesoro dell’esperienza, insieme didattica e politica, delle 150 Ore – cioè dei Corsi per Lavoratori, organizzati nelle scuole pubbliche, che erano stati conquistati a partire dal 1973 e che sono anch’essi precipitati nel buco nero degli anni Ottanta – al centro dell’attività di questi luoghi ci saranno le storie personali, poiché dobbiamo ricostruire da qui la nostra identità collettiva.

Piero Donati

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