Enzo Di Salvatore: Il Movimento e il Referendum NO TRIV
Vi ringrazio per l’invito e mi scuso di non poter essere con voi.
L’11 settembre 2001, proprio nel momento in cui le torri gemelle cadevano, alcuni politici abruzzesi e lucani si trovavano presso il Ministero delle attività produttive per stringere un accordo con la divisione AGIP dell’ENI. Il contenuto di questo accordo sarebbe poi stato trasfuso nella legge obiettivo dello stesso anno. In base ad esso, si prevedeva di realizzare alcuni progetti petroliferi in Basilicata e in Abruzzo. Da questo punto di vista, i lucani e gli abruzzesi si ritrovarono legali da un comune destino, sebbene poi l’epilogo sia stato molto diverso: mentre in Basilicata, anche per la conformazione geomorfologica propria del territorio, non si è riuscito a impedire la realizzazione dei progetti previsti, in Abruzzo si è riuscito ad impedire la nascita di un centri oli nel territorio di Ortona in provincia di Chieti. Il problema emerge, invero, soltanto nel 2006, quando gli abruzzesi si accorgono che lo Stato ha in serbo di realizzare non già un centro per la raccolta dell’olio di oliva, ma un centro per il primo trattamento del greggio estratto.
Nel 2006, il WWF promuove due ricorsi, che però vengono respinti dal Tar. Ciò nonostante, però, la protesta è ormai divampata e sorgono alcuni comitati che si oppongono alla realizzazione di tale Centro Oli. Nel frattempo la Regione Abruzzo adotta una legge, con la quale si fa divieto di realizzare opere di quel tipo. Così arriviamo al 2009, quando il PD che è all’opposizione mi chiede di scrivere una legge regionale ad hoc che ponga rimedio al problema. La legge non viene approvata ed io colgo l’occasione di raccontare tutto in un piccolo libro dal titolo “Abruzzo color petrolio”.
Nel maggio del 2012 vengo invitato ad un Convegno in Val d’Agri. Accanto a me al tavolo dei relatori siede uno studente universitario. Si chiama Giuseppe Macellaro. Parliamo a lungo e ci convinciamo che sia giunta l’ora di unire le forze. Per due ragioni: anzitutto perché è cresciuta in modo diffuso la consapevolezza che la questione delle estrazioni petrolifere non si traduce soltanto in un problema di carattere ambientale; in secondo luogo perché occorreva considerare il sistema nel suo complesso e non confinare la propria battaglia ad un singolo progetto. In sintesi, si trattava di concepire il problema anche in termini di ricadute economiche e di unire le diverse vertenze. E affinché questo fosse possibile sarebbe stato necessario, appunto, unire le forze.
Così, ad inizi luglio dello stesso anno Giuseppe mi chiama e mi dice: scendi che il 14 e il 15 luglio a Pisticci Scalo proviamo a dar vita ad un Coordinamento Nazionale. E così è stato: a metà luglio scendo e trascorro due giorni in compagnia di circa trecento persone provenienti da Comitati e Associazioni di tutta Italia. Si discute, ci si confronta, ci si suddivide in tre gruppi di lavoro. Il 15 mattina si mette nero su bianco e si stende una road map: una lettera da inviare a tutti i senatori della Repubblica perché non convertano in legge il decreto sviluppo del Governo Monti, con il quale si sbloccano i progetti petroliferi ricadenti entro le 12 miglia marine bloccati nel 2010 dal Governo Berlusconi. Si considera quindi l’eventualità che l’appello cada nel vuoto (ed infatti cade nel vuoto) e, pertanto, non si esclude di intraprendere in futuro la strada referendaria. Contestualmente si dà avvio ad una campagna di sensibilizzazione dal titolo “Energia, Costituzione, Democrazia”, che porta me e gli altri ad un tour serrato in giro per l’Italia: Potenza, Pescara, Benevento, Ascoli Piceno, Cesena, Gibellina, Tortoreto, Silvi Marina, Pineto, Bordolano, Avellino, Taranto, sono soltanto alcuni dei luoghi dove siamo stati a raccontare quali problemi avrebbe posto la revisione costituzionale del Titolo V, secondo le intenzioni del Governo Monti: chiaro era – ed è tutt’oggi – che la revisione costituzionale del riparto delle competenze legislative tra lo Stato e le Regioni avrebbe interessato la questione energetica e, dunque, anche la questione petrolifera. La riconduzione nelle mani dello Stato della materia energetica avrebbe comportato la completa estromissione dalle decisioni sui progetti petroliferi delle Regioni (ed anche degli Enti locali).
Arriviamo quindi al 2014 e alla mia candidatura alle elezioni europee con L’Altra Europa con Tsipras. Di questo devo ringraziare Guido Viale, che mi ha consentito di partecipare alla campagna elettorale: non già perché ambissi ad andare in Europa, ma perché in questo modo, con la garanzia dell’autonomia della candidatura stessa, fosse possibile far crescere il Coordinamento e far sì che la campagna di sensibilizzazione acquisisse massima visibilità. E così è stato: tanto è vero che al Coordinamento hanno poi aderito molti Comitati della Calabria e della Puglia. E questo non ci ha trovato impreparati quando nell’autunno dello stesso anno sarebbe stato adottato il decreto Sblocca Italia. Tra le molte criticità che lo Sblocca Italia ha posto, quella petrolifera è, infatti, assurta rapidamente al centro del dibattito nazionale. Per i comitati è stato piuttosto agevole ritrovarsi e scendere in piazza, partecipare alle audizioni in Parlamento perché gli effetti nefasti della disciplina recata fossero contenuti in fase di conversione in legge del decreto e spingere affinché il provvedimento fosse impugnato dalle Regioni dinanzi alla Corte costituzionale. Un fatto del tutto impensabile soltanto pochi anni prima.
Dopodiché si è arrivati al referendum. A chi accusa oggi il Coordinamento Nazionale No Triv di aver fatto “fughe in avanti” rispondo che la possibilità di ricorrere allo strumento referendario era stata ampiamente discussa proprio a Pisticci Scalo nel 2012. Il punto è un altro: si è deciso di non promuovere la raccolta delle 500.000 firme necessarie per indire il referendum, bensì di chiedere alle Regioni di deliberare la richiesta referendaria. Dato i tempi ristretti imposti dalla legge, non abbiamo avuto altra scelta. Circa 200 associazioni e 100 personalità del mondo della cultura, dello spettacolo, delle scienze e delle arti hanno, quindi, sottoscritto l’appello lanciato dal Coordinamento Nazionale No Triv affinché almeno cinque Consigli regionali promuovessero un referendum sulle trivellazioni in mare. Alla fine hanno risposto all’appello ben dieci Consigli regionali. A quel punto, la Conferenza dei Presidenti delle Assemblee Legislative delle Regioni e delle Province Autonome mi ha chiesto di scrivere i quesiti. In ciò ho avuto carta bianca e ne ho scritti sei, mantenendo però distinti il quesito sulle 12 miglia marine dagli altri cinque: tre sull’art. 38 dello Sblocca Italia e aventi ad oggetto il decreto semplificazioni del 2012 e la legge del 2004 di riordino del settore energetico. Questi ultimi due li ho inseriti pensando che potessero far da traino a tutti gli altri, in quanto relativi alla partecipazione delle Regioni ai processi decisionali. Successivamente i sei quesiti hanno ottenuto il via libera da parte dell’Ufficio Centrale per il referendum istituito presso la Corte di Cassazione. Sennonché, lo scorso dicembre un emendamento alla legge di stabilità proposto dal Governo ha apportato alcune modifiche alla normativa oggetto del referendum. E qui sono iniziati i problemi. Nel senso che solo tre modifiche hanno effettivamente soddisfatto nella sostanza la proposta referendaria. Per altri tre quesiti, relativi alle trivellazioni entro le 12 miglia marine, alla durata dei titoli e al piano delle aree, vi è stata una autentica elusione della richiesta referendaria. A quel punto la questione è tornata in Corte di Cassazione, che però, rispetto ai tre quesiti non soddisfatti dalle modifiche della legge di stabilità, ne ha ammesso uno solo uno. Il 19 gennaio scorso la Corte costituzionale si è pronunciata per la legittimità del quesito ammesso dalla Cassazione. Questo vuol dire che gli italiani potranno andare al voto in una domenica compresa tra il 15 aprile e il 15 giugno di quest’anno. Per quanto riguarda gli altri due quesiti si spera di poterli recuperare attraverso il conflitto di attribuzione promosso il 25 gennaio scorso da sei Regioni.