Intervento di Domenico Gattuso
Politiche dei Trasporti. Grandi opere, TAV,
Mobilità Equo-Sostenibile, No alle privatizzazioni
Domenico Gattuso – Bologna, 10.01.2015
Politiche dei Trasporti
Le politiche economiche, in Italia negli ultimi 30 anni, sono state fortemente caratterizzate dall’ideologia neo-liberista, di stampo reaganiano e thatcheriano, diffusa ad arte con un’azione mediatica senza precedenti, declinando parole chiavi come liberalizzazione, privatizzazione, flessibilità del lavoro, crescita economica, grandi opere.
Un’ideologia fortemente dominata da lobbies della finanza, del cemento, della guerra, dell’energia petrolifera, di interessi particolari e spesso criminali, che si è rapidamente estesa anche a formazioni politiche sedicenti progressiste e storicamente impegnate a perseguire il bene pubblico. Da Clinton a Blair ai governi degli Stati europei più recenti, questa ideologia è diventata trasversale e unificante, sfociando in evidenti gravi processi come l’affermazione del “pensiero unico”, lo sfruttamento irrazionale delle risorse del pianeta, la finanziarizzazione speculativa dell’economia, l’estendersi dei fenomeni bellici, i cambiamenti climatici sfocianti in frequenti eventi estremi, l’inquinamento esasperato dell’ambiente, le migrazioni climatiche, l’ingiustizia diffusa.
Questa politica è stata nefasta anche nel settore dei trasporti. In Italia, come nel resto d’Europa, alle dichiarazioni roboanti in sede di programmazione, ipocritamente definite “politiche di coesione” hanno fatto da contraltare le strategie della concentrazione delle risorse, l’affermazione delle grandi opere infrastrutturali (MOSE, TAV, Autostrade, Ponte sullo Stretto, ecc.) e della privatizzazione dei servizi (ferroviari, marittimi, autostradali, aerei, logistici, trasporto pubblico). L’emblema legislativo è stata la Legge Obiettivo di Berlusconi che trova oggi continuità nel Decreto Sblocca Italia di Renzi. I trasporti sono visti in un’ottica puramente aziendale e non come sistema di servizi a vantaggio dell’interesse collettivo; si privatizzano i settori che apportano profitti e si lasciano allo sbando i settori meno remunerativi. Il risultato è un disastro le cui manifestazioni si rivelano attraverso le numerose forme di squilibrio esasperato e nel malessere per ampie componenti della comunità. Si è allargata la forbice tra Nord e Sud Italia, tra province e metropoli, tra pubblico e privato, tra manager e lavoratori, tra mobilità dolce e mobilità motorizzata, tra Enti di governo e cittadini.
Una lunga lista di scelte sbagliate
La lista delle scelte politiche “corto-miranti” nel settore dei trasporti è alquanto lunga. Si richiamano qui solo alcune delle vicende che hanno marcato il percorso della Legge Obiettivo e dei governi neo-liberisti degli ultimi 30 anni.
Autostrade. Evidente il divario di dotazione tra Nord e Sud. Ingentissimi gli investimenti pubblici. La gestione è demandata a soggetti privati, con i proventi dei pedaggi che finiscono nelle tasche di privati; a titolo esemplificativo ci si può chiedere perché mai un industriale dell’abbigliamento come Benetton gestisca il passante di Mestre? Non sarebbe più naturale una gestione pubblica con gli utili destinati alle infrastrutture minori (messa in sicurezza, manutenzione, ecc.).
Ferrovie. La realizzazione delle linee TAV è costata circa 130 Miliardi di Euro; nello stesso periodo alle ferrovie ordinarie sono state destinate briciole (meno di 5 Miliardi), i collegamenti interregionali si sono impoveriti con la cancellazione di decine di relazioni su medio-lunga percorrenza e i servizi regionali sono stati ridotti in uno stato vergognoso. Impossibile un viaggio diretto, diurno o notturno, tra Sud e Nord, impossibili viaggi in treno tra Regioni del Sud, impossibili i collegamenti locali; i pendolari del treno che sono 10 volte più numerosi dei viaggiatori dei treni ad alta velocità, alla faccia della logica di mercato per la quale l’offerta dovrebbe seguire la domanda, vivono vessazioni d’ogni sorta. Si smantellano linee ferrate (oltre 500 km nel solo Piemonte in appena 5 anni), si chiudono e si lasciano nel degrado centinaia di stazioni che rappresentavano siti di vita sociale e culturale, si sacrificano raccordi ferroviari, binari di stazione ritenuti inutili, si chiudono impianti, si lascia spazio libero alle lobbies delle autolinee sovvenzionate comunque dagli Enti Locali. Nel frattempo si sono perse decine di migliaia di posti di lavoro (oltre 120 mila nell’arco di un ventennio). La logica dei corridoi e delle concentrazioni ha determinato orrori. Un cittadino di Roma si trova un’offerta di trasporto incredibile: oltre 120 treni ad alta velocità al giorno verso Milano (con un tempo di viaggio di meno di 3 ore), decine di voli aerei, un’autostrada di primo ordine; viceversa decine di città del Sud sono ormai isolate o scarsamente accessibili. Si impiegano oltre 4 ore di tempo per un viaggio di 250 km in Calabria, la linea ferroviaria ionica è sotto attacco, si parla di smantellare 450 km di binari e già hanno tagliato i collegamenti con la Puglia. Non a caso si vanno mobilitando centinaia di associazioni e di sindaci, alle cui battaglie però non viene dato risalto nei media di regime. Di recente hanno deciso di privatizzare anche le Ferrovie; la scelta è stata già determinata, in queste settimane i vertici politici bisticciano solo per definire le modalità di spartizione della torta (naturalmente la parte remunerativa). Non sarebbe più opportuno un bilanciamento secondo i principi di sussidiarietà e solidarietà tra segmenti ricchi e segmenti deboli? Non sarebbe più etico e politicamente corretto abbandonare la logica dominante del privatizzare i profitti e socializzare le perdite?
Trasporto aereo. Alitalia stava affondando, Berlusconi ne risanò i bilanci a carico dei cittadini italiani (2,7 Mdi di Euro) e affidò l’azienda, privatizzandola, ad un gruppo di imprenditori furbastri; dopo qualche anno la crisi si è ripetuta, ma nessuno degli imprenditori ci ha rimesso; il risultato è stato una svendita ad una compagnia araba, la perdita di migliaia di posti di lavoro, l’impoverimento dei servizi.
Trasporto marittimo. I servizi di traghettamento sono ormai quasi del tutto in mano privata; lo Stato rinuncia perfino a fare una seria concorrenza come nello Stretto di Messina in cui quasi tutto il traffico è assorbito ormai da un consorzio di imprese private, in regime di monopolio camuffato, con profitti consistenti e tariffe esose per i viaggiatori (un cittadino di Reggio Calabria che voglia andare in auto a Messina paga 73 Euro per un viaggio di andata e ritorno; immaginate se avvenisse la stessa cosa fra due quartieri di Roma o di Milano). La privatizzazione dei servizi verso la Sardegna ha determinato un raddoppio delle tariffe, in evidente contrasto con le politiche che dovrebbero assicurare continuità territoriale ed accessibilità alle isole ed aree periferiche. E l’assurdo è che anche in questo caso ai privati vengono assicurati aiuti di Stato. L’ultima minaccia in ordine di tempo è la eliminazione dei servizi di traghettamento ferroviario fra Calabria e Sicilia, per isolare ancora più marcatamente una regione con 5 milioni di abitanti e magari riproporre la soluzione ponte che piace tanto ad alcuni grandi gruppi cementificatori.
Su 263 porti censiti in Italia, ben 178 si trovano nel Mezzogiorno e 45 nel Nord, ma in termini di equipaggiamenti e peso economico il rapporto è ribaltato ed il grosso degli investimenti continua ad essere indirizzato solo sulla parte più ricca del paese. Analogo discorso vale per le infrastrutture e i servizi di logistica, con le principali piattaforme di scambio merci situate nel Centro-Nord, mentre a Sud si dismettono sistematicamente le stazioni cargo ad opera di Ferrovie dello Stato; quest’ultimo ente propone, peraltro, la creazione di 9 poli interportuali, localizzati tutti in pianura padana, ad eccezione di uno scalo in Campania.
Trasporto Pubblico Locale. In questo campo la privatizzazione non dovrebbe sussistere dato che quasi sempre e ovunque le aziende sono deficitarie. Impossibile coprire i costi di gestione con i soli introiti derivanti dalla vendita dei biglietti. In Italia poche aziende superano il 25-30% del rapporto ricavi/costi. Allora perché anche in questo campo si manifesta l’interesse privato? Forse perché si tratta di una falsa privatizzazione; in altri termini la gestione dei servizi passa in mano privata, ma a pagare rimane l’ente pubblico, ovvero i cittadini attraverso le imposte. Si afferma che la logica di razionalizzazione ed efficientamento è più facilmente perseguibile con manager privati che non con una gestione pubblica; laddove si è operato questo tipo di scelta, in realtà, il trasporto pubblico locale ne è uscito a pezzi, con conseguenze disastrose per i cittadini.
Tunnel in Val di Susa e Ponte sullo Stretto. Ormai è stato dimostrato ampiamente l’irrazionalità di queste opere; si è dimostrato che le comunità non ne trarrebbero alcun vantaggio, ma solo oneri a carico diffuso, sia di tipo finanziario che di tipo ambientale. Ma le lobbies perseverano, sostenute da politicanti complici e mazzettari di bassa lega. Le lotte di questi anni (No TAV, No Ponte) hanno dimostrato che se la comunità si ribella e organizza il dissenso, le decisioni sbagliate cessano di essere imposte. Non basta però: occorre un cambio di passo culturale collettivo, occorre assicurare libertà reale di informazione, occorre una responsabilizzazione diffusa dei cittadini.
In generale pare affermarsi una strategia lobbistica mirata a peggiorare la qualità dei servizi pubblici; così facendo si attiva un processo di denuncia manipolato e si prospetta come unica soluzione l’attribuzione del controllo ai privati. Ai quali in definitiva le aziende vengono svendute a detrimento dell’ente pubblico. E’ quanto sostengono da diverse angolazioni personalità come Paolo Barnard, Paul Krugman, Naomi Klein, Noam Chomsky. Il rischio è ormai quello della svendita dell’intera nazione.
Nuovi paradigmi
Proponiamo una politica lungimirante anche nel campo dei trasporti, ispirata all’equità economica, sociale ed ambientale, finalizzata al riequilibrio e alla coesione territoriale. Diciamo no ad un approccio di governo che non risponda ai canoni della corretta pianificazione; non ci sta bene che il decisore decida a priori senza proporre alternative comparate e senza coinvolgere la comunità nel processo di valutazione. La buona prassi, in sede comunitaria, suggerisce che prima di decidere su un intervento infrastrutturale occorra disegnare scenari alternativi e porli pubblicamente a confronto. La negazione del processo partecipativo nelle scelte di progetto e nella gestione dell’esercizio sono di per sé deleteri.
Adottiamo pratiche virtuose per il coinvolgimento delle popolazioni che in altri contesti sono ormai consolidate; come, ad esempio, la istituzione di Centri di Tutela degli Utenti dei servizi di trasporto in Germania, presenti a scala locale e finanziati dalle Regioni; gli enti di governo devono rispondere alle comunità ed alle loro esigenze primarie, rispettando principi etici e di equilibrio economico, sociale, territoriale.
Non si può seguitare con la politica neo-liberista degli squilibri. Occorre affermare il diritto alla mobilità per tutti, ad una mobilità sostenibile ed a costo equo. Mobilità che non produca effetti negativi sull’ambiente, che non riverberi ricadute negative sulle future generazioni. Occorre assumere una nuova visione del rapporto fra cittadini e territorio, dell’urbanistica, dell’assetto dei sistemi e delle tecnologie di trasporto, nuovi modelli culturali, l’affermazione di un principio di responsabilità collettiva al fine di limitare le esigenze private quando queste diventano prevaricatrici. Perciò parliamo di Trasporti Equo-Sostenibili (TES).
Trasporto equo è anche quello che non falcidia migliaia di vite umane. Bisogna arrestare la strage che ogni anno si verifica sulla rete stradale italiana a causa degli incidenti. Ma anche azzerare le morti bianche dei lavoratori del trasporto, dai portuali ai ferrovieri, agli operai dei cantieri che rappresentano oltre il 60% delle vittime sul posto di lavoro. Trasporto equo è ancora quello che non lucra secondo le logiche dell’intermediazione parassitaria a scapito dei produttori e dei consumatori finali dei beni. In una società civile, il diritto alla mobilità non può rispondere a logiche finanziarie, deve rappresentare una componente sostanziale del diritto alla libertà.