Democrazia liquida
di Athos Gualazzi
Partendo dalle considerazioni di Pazè in “Cittadini senza politica, politica senza cittadini” vale la pena affrontare alcuni aspetti sfiorati dall’autrice.
Scrive Pazè:
“3.4 Nuovi soggetti politici cercasi
L’esigenza di inventare nuove forma di organizzazione che permettano di aggirare la “legge ferrea delle oligarchie” è oggi sentita soprattutto nel confuso e articolato arcipelago della sinistra “extra-parlamentare”. Quella che, dopo essersi accapigliata, divisa e variamente ricomposta; dopo avere accumulato frustrazioni e sconfitte; dopo essersi fatta scavalcare dal Movimento 5 stelle nella capacità di intercettare il voto dei delusi dai partiti tradizionali, da alcuni anni si interroga su una possibile nascita di un soggetto politico nuovo, in grado di contrastare l’egemonia neo-liberale. Nel 2012 un gruppo di intellettuali e personalità del mondo della sinistra ha assunto l’iniziativa, promuovendo Alba (Associazione per il Lavoro, i Beni comuni e l’Ambiente). Il “Manifesto per un soggetto politico nuovo” con cui tale gruppo si è presentato pubblicamente si apre constatando la tragica inadeguatezza dei partiti esistenti.
Oggi in Italia meno del 4% degli elettori si dichiarano soddisfatti dei partiti politici come si sono configurati nel loro paese. Questo profondo disincanto non è solo italiano. In tutto il mondo della democrazia rappresentativa i partiti politici sono guardati con crescente sfiducia, disprezzo, perfino rabbia. Al cuore della nostra democrazia si è aperto un buco nero, una sfera separata, abitata da professionisti in gran parte maschi, organizzata dalle élite di partito, protetta dal linguaggio tecnico e dalla prassi burocratica degli amministratori e, in vastissima misura, impermeabile alla generalità del pubblico. È crescente l’impressione che i nostri rappresentanti rappresentino solo se stessi, i loro interessi, i loro amici e parenti. Quasi fossimo tornati al Settecento inglese, quando il sistema politico si è guadagnato l’epiteto di ‘Old Corruption’.
Di qui l’esigenza impellente di dar vita a un nuovo “soggetto politico” (non un partito), che rompa con il modello dei partiti socialdemocratici e comunisti del Novecento, vada oltre la prassi della delega, crei nuovi canali di partecipazione dal basso, mantenga salde radici piantate nella società. “
E ancora:
“Lasciando dunque da parte questioni nominalistiche, chiediamoci come un soggetto politico di statura nazionale, che aspiri ad avere anche una proiezione parlamentare, possa tradurre in pratica le parole d’ordine della partecipazione, della condivisione delle decisioni, dell’ “orizzontalità”, del superamento della delega. Per provare a rispondere può essere utile sollevare lo sguardo al di sopra delle beghe di casa nostra e riflettere sulle vicende del soggetto politico che, forse più di qualsiasi altro, ha tentato seriamente di metter in piedi un’organizzazione diversa da quella dei partiti classici.
Mi riferisco al partito tedesco dei Piraten, fondato nel 2006 su modello del suo omologo svedese,ma destinato ad avere un impatto ben più significativo di questo nella vita politica nazionale. Si tratta di un soggetto politico un po’ particolare, aggregatosi inizialmente intorno a temi iper-specifici, come la riforma della legge tedesca sul copyright e la libertà di Internet, che tuttavia deve la sua popolarità non tanto a questi contenuti programmatici, ma alla sua innovativa strutturazione interna – quella che qui ci interessa.
I Piraten si ispirano a un’ideale di democrazia partecipativa per molti versi simile a quello professato dal Movimento 5 stelle, a cui sono stati spesso accostati, con la differenza che tra di loro i principi di eguaglianza, partecipazione, trasparenza sono stati presi un po’ più sul serio. Non esistono leader carismatici o “megafoni” al di sopra delle regole, tra i Pirati, né uomini dello staff incaricati di controllare l’operato dei parlamentari; al processo decisionale hanno diritto di partecipare, su un piano di parità, tutti gli iscritti. Rifiuto delle gerarchie, trasparenza, valorizzazione del contributo di ogni persona: questi principi sono attuati dai Pirati usando strumenti sia on line sia off line. Per quanto riguarda il primo aspetto – quello più noto, che li ha fatti conoscere universalmente come “il partito di Internet” – i Piraten si servono dell’informatica non solo a fini organizzativi, ma per creare sfere di discussione e di confronto e lanciare iniziative da sottoporre all’attenzione degli altri aderenti. Gli strumenti usati sono molteplici: si va dalle semplici mailing list ai social network a più sofisticati software per la redazione collaborativa di testi o per la discussione tra gli attivisti e tra questi e i rappresentanti eletti. Quanto all’assunzione delle decisioni, a partire dal 2009 i Piraten si servono di Liquid Feedback, che consente a tutti coloro che si registrano di promuovere “iniziative”, discuterle con altri associati, recepire emendamenti altrui, per poi sottoporle al voto elettronico. Liquid Feedback viene usato a livello locale, statale e federale per discutere e votare proposte di legge e altri documenti, ma il voto ha un valore solo consultivo. Ciò è dovuto al fatto che la già ricordata legge tedesca sui partiti prevede che tutte le principali decisioni siano assunte dal congresso. Questo vincolo è stato aggirato introducendo gli ständige Mitgliederversammlung (SMV), congressi on line, che tuttavia non hanno soppiantato interamente quelli off line per la resistenza di molti aderenti a rinunciare alla partecipazione “di persona”, anche in considerazione dei rischi di quella elettronica, che non può garantire al tempo stesso un voto segreto e sicuro. Di qui la rinuncia a fare del SMV l’organo supremo del partito e la centralità che continuano ad avere i congressi, che si tengono due volte l’anno in varie città, a rotazione.”
La commistione fra assemblea digitale e congressi fisici, a mio avviso, ha portato a molta confusione e ha rimesso in gioco gli aspetti negativi delle assemblee fisiche.
La democrazia supportata dall’elettronica dovrebbe essere basata sia su tempi prestabiliti e non certo immediati, in quanto si tratta di valutare documenti, sia sulla possibilità inderogabile, ribadisco possibilità e non obbligo, della partecipazione di tutti.
Assemblee fisiche non dovrebbero esserci poiché potrebbero essere prese decisioni non condivise da coloro che sono impossibilitati a parteciparvi e che potrebbero essere la maggioranza.
Possono e dovrebbero esserci riunioni fisiche per favorire il contatto umano o discutere di proposte comunque da passare al decisionale al quale potrebbero, poi, partecipare tutti.
“La libertà è partecipazione …. “ cantava Giorgio Gaber, ma anche la partecipazione è libertà solo se non vi è costrizione, quindi in realtà il fulcro è la condivisione che ci può essere se c’è il diritto d’intervenire democraticamente in qualsiasi momento del processo decisionale.
Attualmente la motivazione principale per non partecipare è la sensazione che sia inutile, “tanto non cambia niente ….. fanno quello che vogliono e sono tutti precisi” quindi la non condivisione delle decisioni o votazioni adottate asserendo che “ il singolo non conta nulla al limite che le uniche opportunità di scelta è fra il peggio e il meno peggio, non già il preferito”.
Tutto questo è difficilmente modificabile date le leggi, a volte fatte a proposito, della democrazia rappresentativa che, comunque, non è obbligatoria all’interno di una associazione, gruppo o movimento dove è solo richiesta genericamente la democrazia.
Almeno all’interno di un partito è perciò possibile un’altra forma di democrazia, una democrazia che permetta la condivisione e quindi una partecipazione attiva e non passiva e quindi premiante.
La partecipazione, col beneficio del tacito consenso, è sub iudicio al benestare o meno della proposta, della direttiva o della linea politica che s’intende promuovere o adottare quindi è prioritaria la condivisione ancor più della partecipazione al processo decisionale sempre che questo sia sempre aperto e possibile per tutti.
La democrazia rappresentativa spesso si accompagna al leaderismo, che storicamente non ha una conclusione positiva per i più deboli, e se si considera, anche, che il rappresentato non ha alcun controllo sul rappresentante per un tempo quasi sempre predeterminato, lo scollamento fra la cosi detta “classe politica” e il cittadino è conseguenza logica.
Generalmente si è portati a delegare ad altri le responsabilità individuali e niente è più facile che delegare al governo le responsabilità della cosa pubblica, di ciò che è di tutti così che la democrazia rappresentativa diventa una democrazia della delega fatto salvo protestare quando non ci va bene senza per altro avere la possibilità di suggerire soluzioni diverse, tutto è demandato alle elezioni successive.
La democrazia diretta ha anch’essa limiti e lati negativi, il primo è la mancanza di dibattito e interazione, normalmente si approva o disapprova qualcosa calato dall’alto, da altri, difficilmente si può intervenire con suggerimenti o emendamenti, difficilmente si condivide un percorso costruttivo della proposta, la si trova confezionata ed è un prendere o lasciare di pancia senza, almeno dalla maggior parte degli interessati, una sufficiente informazione, dibattito e coinvolgimento.
Il risultato della democrazia diretta è spesso il “tutto e suo contrario” in funzione della contingenza, senza un programma che non sia immediato, incoerente con un disegno politico su un possibile sviluppo sociale nemmeno prossimo venturo.
Come diversa forma di democrazia, con le opportune correzioni, possiamo, invece, considerare l’agorà ateniese dove tutti gli aventi diritto potevano discutere e decidere il futuro.
Assemblee decisionali sarebbero la forma più elevata di democrazia se si potesse eliminare i lati negativi cui mi sono riferito per quanto riguarda la partecipazione.
Le assemblee o i congressi, senza l’utilizzo degli strumenti digitali oggi disponibili, presentano aspetti da sottolineare come l’impossibilità per tutti di partecipare, l’influenza del contesto in cui ci si trova, rango, responsabilità, dialettica e personalità dell’interlocutore e non ultimo la timidezza che affligge più o meno tutti gli individui.
Con l’ausilio della rete è possibile driblare molti degli aspetti negativi dell’assemblearismo.
Innanzi tutto l’influenza pressoché nulla del presentatore della proposta sugli esaminatori, la possibilità degli stessi di presentare proposte alternative o complementari ponendosi come proponenti a loro volta su un piano di assoluta parità, è la proposta tradotta in documento che viene vagliata e non già il presentatore.
Indifferenza alla distanza spazio temporale fra gli attori, siano proponenti o esaminatori, tempi contingentati prioritariamente, quorum prefissati e algoritmi di calcolo assolutamente trasparenti e analizzabili da chiunque lo voglia nonché anonimizzazione del voto ma possibilità di controllo e variazione del proprio voto sino alla sospensione per il calcolo finale e non meno importante dar luogo ad una assemblea permanente e vincolante.
Fondamentale è l’algoritmo di calcolo che può essere impostato preventivamente per giungere a soluzioni il più condivise o accettabili dall’intera platea dei partecipanti, per quanto numerosi siano, si tratta del cuore e della filosofia che fa funzionare l’intera organizzazione e la sua democraticità.
Per inciso l’algoritmo è quella parte di programma che permette a Google, ad esempio, di proporvi quanto potrebbe interessarvi tenendo conto del terminale che state utilizzando, le ricerche che avete fatto in precedenza, le vostre preferenze, disponibilità e quant’altro possa servire per profilarvi, quindi è ovvio che l’algoritmo di calcolo e l’intera filiera decisionale deve essere trasparente e verificabile da chiunque partecipi ed è fondamentale approntare il decisionale assumendo l’uguaglianza fra tutti i soggetti e il rispetto delle individualità.
In conclusione sappiamo che le assemblee finiscono con la verbalizzazione delle stesse e perché non mettere il verbale sul decisionale come proposta a disposizione di tutti per una valutazione generale e vincolante?