Dall’Afganistan cambiano gli equilibri mondiali?
Barbara Schiavulli, corrispondente di guerra su tutti gli scenari mediorientali e mediterranei, appena tornata dall’Afghanistan ha aperto l’incontro che si è tenuto al Polo del Novecento su iniziativa del MFE e del Salvemini. Lucio Levi, grande amico ecologista, fondatore del MFE lo ha chiuso con una bellissima analisi del nuovo quadro mondiale. Mi sono commossa e sentita molto vicina ad entrambi con cui vorrei rapportarmi più frequentemente e ne voglio parlare proprio per questo.
Abbiamo ancora negli occhi le terribili immagini dell’evacuazione da Kabul dopo in ritiro Usa e Nato, e la fuga del capo del governo, Il sangue e i morti straziati, 182 quasi tutti civili, molti feriti gravi, alcuni calpestati dalla folla terrorizzata che fuggiva urlando dall’attentato dell’Isis, i bambini uccisi con quelli che stavano nella casa bombardata, per vendetta e per sbaglio, dagli Usa quasi subito con un drone. Sentire raccontare ora, che nessuno ne parla più, come si viveva in giugno a Kabul, quasi un modello occidentale, e come tutto è precipitato in pochi giorni. Sentire il racconto di una protagonista che ha vissuto sulla pelle il terrore di quelle due settimane di calca per salire sugli aerei e salvarsi, mi ha di nuovo travolta. Barbara è ritornata appena ha potuto per documentare come si vive ora là ed è in Italia da non molti giorni. Sentirla parlare delle donne, dei bambini, degli artisti, delle sportive e degli afgani continuamente alla ricerca di libertà e della dignità e sempre calpestati e torturati da tutti quelli che hanno tentato di impadronirsi di questa terra splendida, mi commuove e mi fa ricordare quando, con una delegazione della Commissione Esteri, siamo scesi a vite su Kabul sul C130 per evitare i proiettili, quando ho incontrato le ministre del primo governo Karzai che stavano riaprendo le scuole per le bambine, assumendo donne che lavorassero nelle vallate per portare avanti la loro liberazione dai clan di anziani che governavano nelle valli, quando ci muovevamo nella città e appena fuori senza uscire neanche con un piede dal sentiero segnato per evitare le bombe su cui saltavano i tanti bimbi che Gino Strada curava se non morivano.
Cercate i racconti di guerra sul sito radio Bullets di Barbara che era là, insieme al nostro console, quello che raccoglieva sul muro i bambini che le mamme gli porgevano, e cercava di convincere chi poteva salire sugli aerei italiani ad uscire di casa con rischio di essere ucciso, attraversare la città ormai in mano ai talebani, passare il cancello presidiato dai soldati americani; ci hanno ricordato recentemente quei giorni spaventosi i genitori di quel bimbo consegnato nelle loro mani e non più ritrovato, che ne hanno denunciato la scomparsa. Il mercato internazionale delle adozioni rende, certo non tanto quanto l’oppio. Barbara denuncia nel suo sito qualcosa che fotografa i grandi vizi dell’informazione nel nostro paese: “Il mio sogno era fare la giornalista di guerra, poi ho scoperto che non si fa, lo si diventa…se nasci in un paese normale e sei bravo, tutto è possibile. Se invece hai creduto fosse importante restare in Italia, capisci ben presto che è solo presuntuoso pensare che essere bravi, impegnati e onesti e non fortunati, basti per entrare in un giornale” …”in questo paese dove credevo che se fossi stata abbastanza brava, mi si sarebbero spalancate le porte dei giornali, a mie spese ho imparato che non è così. In questo paese dove gli esteri contano sempre meno nei giornali per me e chi è come me, orfana di raccomandazioni e non disposta a svendersi per due lire, noi siamo fuori. O forse fuori sono loro, quei direttori che non si accorgono di quanto abbiamo bisogno del mondo che ci circonda e di raccontarlo come si deve. E delle donne afgane dice: ”spazzate via. Tolte di mezzo. Non serve uccidere per cancellare un genere: basta ordinarlo, basta spaventare, basta decidere scientificamente che deve scomparire. E i talebani lo hanno fatto. Sono arrivati come un uragano previsto, ma al quale nessuno è stato in grado di prepararsi. Una catastrofe umanitaria, un virus sociale per il quale non c’erano vaccini. Si guardava l’inesorabile senza volerlo vedere, si sentiva il pericolo che arrivava senza volerlo accettare. E dopo vent’anni… si torna indietro di vent’anni, o forse di secoli: quando il buio era quello delle anime, quando le donne erano streghe, quando la musica era il male e quando pensare era ribellione. L’Afghanistan oggi è questo: il paese degli ultimi due decenni e il dopo, con quel maledetto 15 agosto che più di un ferragosto è stato un’epifania. La fine simbolica dell’egemonia occidentale sul resto del mondo. La fine dell’emancipazione delle donne afghane, la fine del giornalismo, dei diritti umani, della scuola, dell’arte e della Storia. La fine di una società civile appena nata che ancora si nutriva di lotta, speranze, sogni.”
Racconta come ha aiutato a salire su uno degli aerei della speranza alcuni dei 150.000 afghani fuggiti dal paese perché in qualche modo legati agli occidentali o in estremo pericolo di vita. Ma per tanti usciti, 100 volte tanti sono rimasti e tutti avrebbero diritto a una seconda possibilità, anche attraverso l’Uzbekistan e il Pakistan: “l’impotenza di non poter più salvare nessuno pesa come un macigno. Perché la politica si è svegliata un momento nel torrido cielo di agosto e poi si è spenta, si è spenta sulla vita della gente, tra le beghe di casa che sovrastano, forse per convenienza, il dolore degli altri.” Racconta che recentemente i talebani hanno occupato, cambiato i vertici ovunque ma non sono capaci e non hanno soldi per gestire guerra, corruzione e la più grande catastrofe umanitaria in corso, con 23 milioni ormai che soffrono la fame. Le donne sono nascoste e velate anche a Kadar, Herat e Pamar dove è riuscita ad andare con il pass per i giornalisti a vedere come vivono quelli che sono rimasti, con le banche e i centri covid chiusi e dove ha parlato con questi giovani talebani feroci, cresciuti nelle madrasse e non nelle scuole, che presidiano ogni luogo, usano internet e impediscono alle donne di uscire di casa e di lavorare, di fare sport, musica e arte.
Naturalmente tutti i fondi FMI son bloccati in attesa che la comunità internazionale riconosca l’attuale governo talebano. I talebani raccontavano che non avrebbero più prodotto ed esportato oppio e invece si è quadruplicata la produzione e hanno anche imparato a raffinarlo trasformandolo in eroina. Il paese possiede litio con un valore, secondo l’Economist di tre trilioni di $ che fanno gola. Levi chiude il dibattito affermando che il ritiro precipitoso dell’esercito americano dall’Afghanistan ha indebolito enormemente Biden, gli USA e la Nato. Non rappresenta solo un nuovo passo del governo degli Stati Uniti verso la sua rinuncia a svolgere il ruolo di gendarme del mondo venti anni dopo la campagna del presidente Bush contro i talebani dopo le Twin Towers, e diciotto anni dopo l’invasione dell’Iraq e l’uccisione di Saddam Hussein. Gli Usa hanno perso tutte le guerre dal tempo del Vietnam. Ciò che colpisce oggi in Afghanistan è la velocità del crollo del governo fantoccio, incompetente e corrotto e la rapida riconquista del potere dei talebani. Il nuovo regime brutale e oppressivo dei Talebani è responsabile di una lunga lista di crimini, come l’assassinio di civili e soldati arresi, la flagellazione pubblica, la lapidazione, le sanzioni per “vestire inappropriato”, la chiusura delle scuole per le ragazze, il permesso per le donne a lasciare la loro casa solo se accompagnati da un parente maschio. Ma il ritorno dei talebani al potere non sarà indiscusso. ISIS-K, che ha rivendicato l’attentato mortale al di fuori dell’aeroporto di Kabul e gli altri che sono seguiti, il contrapporsi di due fazioni nei talebani che non hanno rotto i loro legami con il terrorismo internazionale continua l’instabilità politica generata dalla ventennale guerra che ha prodotto 3,5 milioni di persone sfollate all’interno dei confini dell’Afghanistan e 2,2 milioni di rifugiati nei paesi confinanti.
La guerra è costata agli USA 2.3 trilioni di $, 46.000 morti civili e 2.400 soldati americani e molti di altri contingenti. Lo spostamento del centro di gravità della strategia globale americana dall’Atlantico al Pacifico e la competizione con la Cina è diventata la massima priorità. La nuova alleanza USA, UK e Australia (Aukus) è destinata a contrastare la Cina. Ci sono sfide globali, come i cambiamenti climatici e la pandemia che minacciano la continuazione della vita sul nostro pianeta, e che richiedono un’azione immediata, tantopiù dopo la delusione per la Cop26. L’UE potrebbe avere un ruolo basato sulla cooperazione e sulla reale conversione ecologica ora che Russia ed Eurasia sono in difficoltà e necessitano una urgente riconversione produttiva. Non possono continuare ad usare ed esportare solo gas e petrolio. Il continente africano può industrializzarsi usando solare e eolico e mantenere anche le tradizioni agricole e di allevamento senza passare a quelli intensivi.
Sono molto d’accordo con quanto sostiene Lucio Levi: ho visto recentemente in Tanzania l’invasione dei cinesi, con i loro macchinari costantemente impegnati a cementificare le terre agricole con strade e nuovi edifici e in Kerala, tradizionalmente governato da comunisti, la ricchezza e la bellezza delle tradizioni ayurvediche che permettono un turismo di qualità e garantiscono un buon livello di vita a tutti. L’Europa dovrà decidere velocemente e unitariamente la sua politica estera, e l’Italia dovrà smettere le beghe interne e gli schieramenti sulla vaccinazione e su qualunque altro tema spostando l’interesse su ciò che succede nel mondo. Impegniamoci anche noi a fare pressione politica e a prendere iniziative al riguardo.
Per approfondire consultare http://www.federalist-debate.org/index.php/editorial da cui sono state tratte alcune frasi