PATRIARCATO

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 di Guido Viale

La discesa in campo di un movimento mondiale di donne che riempie la scena politica e sociale degli ultimi anni – di cui il corteo di sabato scorso a Roma era solo un’articolazione – induce a ritenere che quel movimento sia destinato ad essere uno dei protagonisti principali di ogni possibile processo di trasformazione dei rapporti sociali nei decenni a venire. L’irruzione di tematiche, pur legate alla “questione sociale” e agli obiettivi della lotta di classe dei due secoli scorsi, ma sostanzialmente estranee ai modi tradizionali di fare e vivere la politica, spiazza fino all’irrilevanza le forze delle diverse sinistre, ma anche, più in generale, l’arena dove si è svolta gran parte del conflitto politico a cui siamo stati abituati.

Questo impone a noi maschi il compito di mettere in discussione e rivedere – continuamente, e non una tantum – il modo in cui ci rapportiamo all’altra “metà del cielo” e, in particolare, a quella parte di essa che frequentiamo personalmente per i più svariati motivi; ma anche quello di capire come mettere a frutto gli strumenti teorici e pratici che il femminismo ci fornisce – o ciò che riusciamo a coglierne – in una rivisitazione generale di tutti i nostri riferimenti. Non si tratta di fare i “femministi”, di scimmiottarne le pratiche: sarebbe ridicolo. Ci mancherà sempre l’esperienza dell’essere donna e di tutto ciò che ogni donna può ricavare dalla conoscenza del proprio corpo e dal proprio vissuto. Ma ciò che il femminismo ci mette a disposizione può aprirci uno spiraglio sulle strutture del potere di cui bene o male siamo parte. Quello spiraglio, destinato a farsi voragine, è il patriarcato; il suo indissolubile nesso con realtà pervasive come la proprietà, il dominio, lo sfruttamento, la sovranità; il suo essere fondamento e cornice di tutte le forme che quelle realtà hanno assunto nelle diverse fasi della storia, compreso, ovviamente, il capitalismo finanziario, estrattivo e predatorio (non uso il temine neoliberismo, che considero del tutto inappropriato) attuale.

La radice del patriarcato è la “proprietà” dell’uomo sulla donna, la sua pretesa di considerarla e il potere di farne una cosa “sua”. Su di essa si sono modellate tutte le altre forme di proprietà che hanno accompagnato il succedersi delle civiltà: sugli animali addomesticati, sui campi, sui pascoli e le foreste, sugli schiavi, sui palazzi, sul denaro, sui mezzi di produzione, sulla conoscenza, sul genoma: tutte forme di accaparramento di ciò che è fecondo o ritenuto tale, di ciò che “produce” o promette di produrre. Il modello è la fecondità della donna, la produzione della propria prole, ritenuta da sempre la forma fondamentale della ricchezza: la perpetuazione, in altre vite, della propria esistenza. Non solo. La proprietà di una, diverse o tante donne è forse la ragione ultima dell’appropriazione di tutte quante le altre cose considerate degne di accaparramento. Tutta la ricchezza del mondo, le proprietà accumulate nel corso dei secoli, non servivano e non servono che a questo: in forma diretta o simbolica. E la sovranità, non di una comunità, piccola o estesa, che si autogoverna condividendo oneri e benefici della convivenza, ma di una “patria” (la cui assonanza con patriarcato è stata più volte rilevata), cioè di uno Stato, i cui membri sono tenuti insieme dal dominio di un Leviatano (un tiranno) o da una “volontà generale” che ha bisogno di qualcuno che la interpreti per estrinsecarsi – i “gestori” della sovranità – non è che un’estensione a livello sociale di quella forma elementare di dominio che è la proprietà: una delle tante condizioni per garantire quella degli uomini sulle donne. Sopra quei sovrani c’è solo un dio, anch’esso Padre. Un papa che aveva ipotizzato che dio fosse anche madre morì subito…

Persino la rivolta delle classi oppresse contro i loro dominatori ha assunto spesso i connotati di una lotta per mantenere, senza dover ricorrere a una proprietà di cui non disponevano, un potere sulle “proprie” donne che la ricchezza altrui metteva a repentaglio. Oggi la guerra del fondamentalismo islamico contro l’Occidente evidenzia che la posta in gioco di quello “scontro di civiltà” è la conquista o riconquista di un potere sulle donne che il femminismo o l’emancipazione della donna nel mondo occidentale mettono in forse. Senza vedere che molta di quella emancipazione, in particolare in campo sessuale, ma soprattutto l’uso e l’esibizione del corpo della donna per motivi commerciali, non sono che l’altra faccia di un dominio sulla donna che ha cambiato forma, ma viene riaffermato in nuove modalità. 

Il dibattito sul rapporto tra capitalismo e patriarcato ha messo in luce che l’accettazione o la legittimazione dei rapporti di dominio e sfruttamento nelle società in cui viviamo hanno radici, come già aveva colto Marx nei Manoscritti economico filosofici, nel rapporto tra uomini e donne. La permanenza a ogni latitudine, e nelle forme più diverse, di varie forme di violenza – aperta o mascherata, e persino inconsapevole – nei confronti delle donne, fino al femminicidio, rivela la profondità di queste radici ed è ciò che impedisce di prospettare o praticare una vera alternativa a una società il cui fine ultimo è l’acquisizione di reddito, ricchezza o potere come condizioni irrinunciabili per conservare in qualche forma una proprietà degli uomini sulle donne.

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