Aprite i Porti

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di Guido Viale

La questione dei migranti – accogliere o respingere, e come? – è da tempo diventata una questione planetaria e, per quello che ci riguarda, di dimensione europea. Non si può affrontare in ordine sparso, nazione per nazione; e meno che mai ciascuno per proprio conto.

Per alcuni anni è sembrato che politica ed establishment europeo fossero divisi tra due fronti – accogliere o respingere – che di fatto hanno assorbito, o fatto passare in secondo piano, quasi tutte le altre questioni.

Non solo quelle economiche e sociali relative alle politiche di austerità, alla privatizzazione di tutto l’esistente, alla crescente diseguaglianza tra un numero infimo di ricchi e una platea sterminata di poveri, al peggioramento delle condizioni di vita della maggior parte della popolazione.

Quanto soprattutto i temi di fondo di cui la questione dei profughi e dei migranti non è che la più evidente – per noi – manifestazione: le guerre e i conflitti armati ormai diffusi in quasi tutti i paesi da cui si originano i flussi migratori e il deterioramento dell’ambiente prodotto dalla rapina delle risorse locali, ma, ormai in misura sempre più evidente, dai cambiamenti climatici.

Così la questione dei profughi e dei migranti viene affrontata come se la loro esistenza si materializzasse solo ai bordi del Mediterraneo (o alla frontiera del Messico, per quel che riguarda gli Stati Uniti) senza interrogarsi sul prima – che cosa ha provocato quell’esodo? – e sul dopo: come affrontare un fenomeno destinato a crescere nel tempo?

Dobbiamo però riconoscere che a livello istituzionale il fronte che sostiene i respingimenti senza se e senza ma ha stravinto, e che i loro avversari, sia al governo che all’opposizione, non hanno una politica alternativa da opporre se non su questioni di mezzi e con un linguaggio per lo più ipocrita.

Tutti o quasi i governi e le forze politiche sono, con linguaggi diversi, impegnate a costruire e rafforzare la Fortezza Europa, individuando nei profughi e nei migranti, esplcitamente o di fatto, l’invasor, il nemico da cui difendersi.

Questa impostazione prevede il ricorso a una serie di strumenti ai quali, anche chi sostiene di non condividerli, di fatto acconsente senza opporsi:

Innanzitutto barriere fisiche, mezzi e reparti militari o mililitarizzati; poi misure legislative tese in vario modo ad aggirare o neutralizzare l’efficacia dei diritti umani e delle convenzioni internazionali sottoscritte nella seconda metà del secolo scorso; e ancora, la esternalizzazione dei confini nel tentativo di affidare a governi di paesi già colonie europee nei secoli scorsi quei respingimenti che i paesi membri dell’Unione Europea non riescono a realizzare in proprio.

Ma lo strumento decisivo di questa costruzione è l’attacco contro le organizzazioni della soliadarietà: sia quelle che lavorano ai confini di mare e di terra per salvare vite e aiutare profughi e migranti a varcare le frontiere, sia quelli che lavorano nel campo dell’accoglienza e dell’inclusione.

La ragione della centralità di questo attacco sta nel fatto che le organizzazioni della solidarietà rappresentano la contestazione vivente dei confini tra cittadini da includere (o a cui far credere di essere inclusi) e individui da escludere, a cui non riconoscere più i diritti più elementari. Sono l’area di contatto tra gli uni e gli altri.

Questi confini, come ha cercato di mettere in evidenza la manifestazione del 14 luglio a Ventimiglia, non sono solo fisici e geografici, ma sono soprattutto sociali e attraversano ogni territorio, ogni paese e ogni città, restringendo sempre di più l’area degli inclusi e allargando progressivamente quella degli esclusi o da escludere.

Un’alternativa alla Fortezza Europa può dunque nascere solo dal basso, dai movimenti che qui solo in parte rappresentiamo, e solo sulla base di un progetto di dimensione europea, dando però la massima rilevanza ai risultati che si possono raggiungere a livello istituzionale, come quelli rappresentati dall’esistenza di una rete delle città solidali.

Le associazioni, i comitati, le organizzazioni, le cittadine e i cittadini che in qualche modo si oppongono alla guerra in corso contro i migranti sono molte, ma non hanno voce e poca o nessuna rappresentanza, mentre la voce di chi promuove i respingimenti è sempre più forte e incontra un crescente sostegno.

Questo succede anche perché quelle solidali sono per lo più organizzazioni piccole e disperse, senza solidi collergamenti tra loro, spesso arroccate, per difendere in qualche modo le ragioni della propria attività, nella valorizzazione della propria specificità piuttosto che delle prospettive che potrebbero unirle a tutte le altre.

Per questo, qui come in tutti gli incontri futuri tra organizzazioni impegnate a qualsiasi titolo nella solidarietà, dobbiamo lavorare alla creazione di una piattaforma comune che non trascuri nessuno dei grandi temi che l’establisment sta cercando di soffocare indicando il nemico di tutti nei migranti.

Ma soprattutto dobbiamo approfittare della straordinaria opportunità che ci viene data dall’avere tra noi, come promotori di questo incontro, dei sindaci e delle città che hanno già sottoposto alla verifica di un consenso sociale ed elettorale, problematico quanto si vuole, la loro scelta a sostegno della solidarietà, per promuovere al nostro interno una vera leadership, collettiva e condivisa, al di là delle tante questioni, tutt’altro che irrilevanti, che ancora ci possono vedere divisi.

 

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