DISCORSO DI PAPA FRANCESCO AI MOVIMENTI POPOLARI
di Guido Viale
Nel suo discorso del 5 novembre papa Francesco si rivolge per la terza volta ai movimenti popolari, convocati a Roma, affinché persistano nel loro ruolo di protagonisti di “un cambiamento strutturale” della società “perché la vita sia degna”. E li chiama “poeti sociali” perché li considera “promotori di un processo in cui convergono milioni di piccole e grandi azioni concatenate in modo creativo, come in una poesia”.
Di fronte ai disastri che stanno mettendo in forse l’avvenire del pianeta e della convivenza il papa ribadisce le tre finalità che dovrebbero tenere uniti tutti coloro a cui rivolge il suo messaggio, indipendentemente dalle diverse credenze e opinioni che li possono dividere in altri campi. Quelle tre finalità sono : “1. mettere l’economia al servizio dei popoli; 2. costruire la pace e la giustizia; 3. difendere la Madre Terra”. Il quadro di riferimento resta sempre quello delle 3T enunciato e sviluppato nel primo degli incontri con i movimenti popolari nel 2014: tierra, techo e trabajo. Ma di mezzo c’è stata l’enciclica Laudato sì, che ha messo in evidenza come per terra si deve intendere tutto l’ambiente e non solo l’oggetto diretto delle cure del mondo contadino; che tetto, casa, non è solo quella a cui hanno diritto tutti coloro che oggi non ne hanno una, bensì la comunità e il suo territorio, al di fuori del quale non può svilupparsi una vita degna di essere vissuta; e che lavoro non è solo un impiego e una retribuzione, anche se bisogna impegnarsi perchè tutti ne abbiano uno, ma è la possibilità di sviluppare nell’attività la libera espressione delle proprie capacità e la valorizzazione delle proprie risorse. Questo non esenta il papa dall’elencare puntigliosamente gli altri punti su cui è impossibile che i movimenti popolari non si trovino d’accordo: “integrazione urbana per i quartieri popolari; eliminazione della discriminazione, della violenza contro le donne e delle nuove forme di schiavitù; la fine di tutte le guerre, del crimine organizzato e della repressione; libertà di espressione e di comunicazione democratica; scienza e tecnologia al servizio dei popoli, un progetto di vita che respinga il consumismo e recuperi la solidarietà, l’amore tra di noi e il rispetto per la natura come valori essenziali… la felicità di ‘vivere bene'”.
“Il colonialismo ideologico globalizzante – denuncia – cerca di imporre ricette sovraculturali che non rispettano l’identità dei popoli”. È “la globalizzazione dell’indifferenza”. Voi invece, rileva Francesco, “andate su un’altra strada che è, allo stesso tempo, locale e universale”: quella delle “piccole e grandi azioni concatenate in modo creativo”. Lo scopo comune è comunque quello di realizzare “un cambiamento che sia in grado di spostare il primato del denaro e mettere nuovamente al centro l’essere umano”. L’obiettivo enunciato esplicitamente, come già nell’enciclica Laudato sì, è scalzare “il governo del denaro”; che non è la moneta con cui facciamo la spesa tutti i giorni o con cui si realizzano gli investimenti che rispondono ai bisogni di una comunità, ma è il capitale finanziario che ci governa “con la frusta della paura, della disuguaglianza, della violenza economica, sociale, culturale e militare che genera sempre più violenza in una spirale discendente che sembra non finire mai”. Questo mi sembra essere il tema centrale e la novità principale di questo discorso: il capitale non governa più il mondo con la promessa di un avvenire migliore, di un’emancipazione di tutti, ancorchè realizzata in modo individuale, di un benessere da conseguire anche accettando di essere sfruttati. Oggi il capitale governa con la paura: paura del peggio, terrore dell’ignoto, timore di fronte all’estraneo. “C’è un terrorismo di base che deriva dal controllo globale del denaro sulla terra e minaccia l’intera umanità”, “terrorismo di stato”. “Quando questo terrore, che è stato seminato nelle periferie con massacri, saccheggi, oppressione e ingiustizia, esplode nei centri con diverse forme di violenza, persino con attentati odiosi e vili, i cittadini che ancora conservano alcuni diritti sono tentati dalla falsa sicurezza dei muri fisici o sociali”. È la travolgente avanzata del razzismo e della xenofobia nel “centro” del mondo, che ha un prezzo pesante anche per chi la pratica o pensa di beneficiarne: “Cittadini murati, terrorizzati, da un lato; esclusi, esiliati, ancora più terrorizzati, dall’altro [quelli che vengono dalla “periferia”]…La paura, oltre ad essere un buon affare per i mercanti di armi e di morte, ci indebolisce, ci destabilizza, distrugge le nostre difese psicologiche e spirituali, ci anestetizza di fronte alla sofferenza degli altri e alla fine ci rende crudeli”. Quello della paura, e della lotta contro la paura, è dunque il tema politico, ma anche sociale, culturale e personale centrale per tutta la nostra epoca. Contro di essa Francesco esorta i movimenti a impegnarsi nella vera politica, superando il settorialismo che li inchioda a una lotta senza sbocchi e rifuggendo dal cancro della corruzione, che devasta il rapporto tra cittadini e istituzioni.
“Non lasciamoci ingannare. Come avete detto voi: ‘Continuiamo a lavorare per costruire ponti tra i popoli, ponti che ci permettano di abbattere i muri dell’esclusione e dello sfruttamento'”. Nella parabola di Gesù che risana la mano atrofizzata di un uomo, restituendogli così la dignità che viene dalla possibilità di lavorare, Francesco legge la promessa di un riscatto dalla disoccupazione, da una condizione imposta che atrofizza le potenzialità umane di chi la subisce. Una promessa che molti movimenti si adoperano per tradurre in realtà. E qui Francesco riconnette il tema del lavoro, dell’attività che risponde a un bisogno di riscatto personale e sociale, a uno dei temi messi al centro dell’enciclica Laudato sì: quello della lotta contro gli “scarti” della società odierna. “Quando voi, i poveri organizzati, vi inventate il vostro lavoro, creando una cooperativa, recuperando una fabbrica fallita, riciclando gli scarti della società dei consumi, affrontando l’inclemenza del tempo per vendere in una piazza, rivendicando un pezzetto di terra da coltivare per nutrire chi ha fame, quando fate questo…cercate di risanare, anche se solo un pochino, anche se precariamente, questa atrofia del sistema socio-economico imperante che è la disoccupazione”. È questo “un progetto-ponte dei popoli di fronte al progetto-muro del denaro”. Perché “Il contrario dello sviluppo, si potrebbe dire, è l’atrofia, la paralisi”. E noi “dobbiamo aiutare a guarire il mondo dalla sua atrofia morale”.
Lo scandalo provocato dal dominio della finanza, del denaro per fare denaro, ritorna al centro del discorso con l’ingiunzione, rivolta ai governi prima ancora che ai popoli, di vergognarsi per come vengono trattati profughi e migranti e invertire rotta di 360 gradi nelle politiche adottate in questo campo: “Quando avviene la bancarotta di una banca, immediatamente appaiono somme scandalose per salvarla, ma quando avviene questa bancarotta dell’umanità non c’è quasi una millesima parte per salvare quei fratelli che soffrono tanto”. Così “la paura indurisce il cuore e si trasforma in crudeltà cieca che si rifiuta di vedere il sangue, il dolore, il volto dell’altro”. In questo modo promozione sociale, lotta contro il governo globale del denaro, costruzione di ponti e politiche di accoglienza si riconnettono nell’invito ad andare alla radice del problema: che è la capacità di tornare a fissare il nostro sguardo sul volto e sulle vicende del nostro prossimo.