Un caso nazionale di inquinamento e silenzi colpevoli a Vado Ligure
Inchiesta di Marina Forti, giornalista su Internazionale.it
L’impianto a carbone di Vado Ligure, in provincia di Savona, oggi è fermo, sotto sequestro giudiziario, ma arrivare a questo risultato è stata una storia lunga: ha coinvolto una rete di cittadini, medici, alcuni magistrati, e naturalmente amministratori locali e dirigenti d’azienda.
La centrale termoelettrica è lì da quarantacinque anni, parte nel territorio di Vado, parte in quello di Quiliano, che poi sono una sola area urbana e fanno tutt’uno con Savona. La società Tirreno Power l’ha comprata dall’Enel nel 2003, con la liberalizzazione del mercato dell’energia (poi la francese Gaz de France-Suez, ribattezzata Engie, ha comprato metà di Tirreno Power): sono due gruppi a carbone da 330 megawatt ciascuno e uno più recente a metano, da 760 megawatt.
Dalla collina che sovrasta la rada di Savona si vede bene l’impianto al centro dell’abitato, con i camini, i pennacchi di vapore e la grande macchia nera del carbonile scoperto. Accanto al muro della centrale ci sono case, giardinetti, scuole. Più giù i pontili del porto industriale; dall’altro lato la frazione Valleggia, poche centinaia di metri in linea d’aria dalle ciminiere. Il centro di Savona è pochi chilometri a est, appena al di là del torrente Quiliano: dalla fortezza del Priamàr, che chiude il vecchio porto, è impossibile non vedere le ciminiere.
Oggi la centrale termoelettrica di Vado Ligure-Quiliano è al centro di un’indagine coordinata dalla procura della repubblica presso il tribunale di Savona. Il decreto di sequestro “preventivo”, firmato nel marzo 2014 dalla giudice per le indagini preliminari Fiorenza Giorgi, parla di “ingente danno alla salute” dei cittadini, di “decessi riconducibili direttamente alla presenza della centrale”, e di “reiterate inottemperanze alle prescrizioni” da parte dell’azienda. Leggi il seguito su Internazionale.it