Non siamo razzisti, siamo peggio
di Annamaria Rivera
La simbologia del pogrom si era già espressa, a Quinto di Treviso, col rogo delle suppellettili di uno degli alloggi destinati ai profughi: razziate, gettate in strada e date alle fiamme tra la folla plaudente. Ora il macabro festino dell’intolleranza si arricchisce di un dettaglio ancor più esplicito: le minacce al prefetto di Roma, Franco Gabrielli, reo di non aver ceduto al ricatto dei cittadini «esasperati» di Casale San Nicola.
In uno sgangherato messaggio via Facebook, l’autore delle minacce, il vicepresidente, leghista, del consiglio regionale delle Marche, indegno della carica istituzionale che ricopre, promette «olio di ricino» al «porco di un comunista».
Siamo ormai a un punto di svolta allarmante, con Salvini che vomita quotidianamente ingiurie e cliché razzisti come: «Smettete di coccolare migliaia di clandestini. Accoglieteli in prefettura o a casa vostra, se proprio li volete».
Mentre il sistema di accoglienza dei profughi mostra tutta la sua inadeguatezza, mentre sugli scogli di Ventimiglia il gruppo di giovani esuli continua a resistere da più di un mese, abbandonato da ogni istituzione centrale, il blocco fascioleghista, aizzato da caporioni quali Zaia e Salvini, imperversa da Nord a Sud, guidando la rivolta dei «proprietari del territorio»: marce, molotov, cassonetti incendiati e saluti romani.
Arduo è questa volta giustificare i tentati pogrom con la retorica della guerra tra poveri, sebbene alcuni media persistano. Non siamo in periferie estreme, degradate e abbandonate, ma in un comune tutt’altro che povero, amministrato da un monocolore leghista, e in un sobborgo romano tutto ville e piscine.
In realtà, gli imprenditori politici del razzismo, spalleggiati da quelli mediali, non fanno che legittimare od organizzare proteste che si nutrono di una percezione delirante degli altri: quella che li colloca, simbolicamente e fattualmente, nella sfera dell’estraneità all’umano. Solo così è spiegabile come si possa partecipare o consentire al lancio di sassi e bottiglie contro il furgone che a Casale San Nicola trasportava i diciannove giovani richiedenti-asilo, già sgomenti per aver dovuto abbandonare d’un tratto la sistemazione precedente e terrorizzati dalla torma degli scalmanati.
In realtà, coloro che si sono lasciati guidare dai fascioleghisti niente sanno dei profughi alloggiati o da alloggiare nel «loro territorio»: non ne conoscono neppure le nazionalità. Grazie al martellamento mediale dovrebbero, però, essere edotti dell’epopea che li vede tragici eroi del nostro tempo: la fuga da mondi in fiamme o in sfacelo, l’estenuante traversata perigliosa del Mediterraneo, i cadaveri, anche di bambini, abbandonati alle acque nostre, le madri che sbarcano orfane dei figli e i figli che approdano orfani dei genitori… Ma quel che forse sanno non li muove a pietà, non fa scattare la molla dell’empatia o solo della commiserazione: il delirio produce anche anaffettività, com’è ben noto.
Nulla sanno di ognuno di loro. E di tutti non possono dire neanche che sono ladri e rapitori di bambini, come dicono abitualmente degli «zingari». Eppure li hanno già catalogati come nemici della loro mediocre tranquillità borghese o piccolo-borghese, che essa alberghi nelle ville con piscina di Casale San Nicola oppure in alloggi ordinari di Quinto di Treviso.
Sanno o dovrebbero sapere quali gaglioffi siano i militanti di CasaPound, Forza Nuova, Militia Christi, Fratelli d’Italia, Lega Nord e via dicendo. Eppure è a loro che si affidano «per proteggere il nostro territorio dagli extracomunitari». Così una residente di Casale San Nicola all’inviato del Corriere della Sera, Fabrizio Roncone, in una dichiarazione preceduta dal classico «Noi non siamo razzisti, ma…», sublime per emblematicità razzista.
La molla dell’empatia, ma verso i difensori del loro territorio, è invece scattata nel M5S: una delegazione, costituita da parlamentari e da consiglieri comunali e municipali di Roma, si è affrettata a ricevere il «comitato spontaneo di Casale San Nicola, riunito in presidio».
Niente di nuovo. Del pari, tutt’altro che inedita nella storia italiana recente è la tentazione del pogrom. Ma è proprio questo a farci temere: il fatto che nulla cambi, se non in peggio, dopo quasi quarant’anni d’immigrazione in Italia.
Il Manifesto 20.07.2015