LETTERA APERTA ALLE COMPAGNE E AI COMPAGNI DE l’ALTRA EUROPA

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di Guido Viale

Premetto che continuo a considerarmi membro a tutti gli effetti de L’Altra Europa perché ho condiviso e continuo a condividere l’appello iniziale L’Europa a un bivio, che peraltro ho contribuito a redigere, e perché sono stato prima tra i promotori e poi tra i garanti di questo progetto. Non ho sottoscritto il documento Siamo a un bivio perché è in aperto contrasto con la lettera e lo spirito di quel primo appello. Non ho nemmeno sottoscritto la scheda di adesione perché impone la condivisione di un “percorso unitario indicato nell’assemblea di Bologna dello scorso gennaio” che non esiste. A Bologna non è stato definito alcun percorso, dato che quell’assemblea non ha potuto votare alcunché. Dove porti in realtà quel presunto “percorso unitario” mai votato e mai deciso è diventato chiaro, per chi ancora non l’avesse riconosciuto nell’immobilismo e nella subalternità dei mesi precedenti, nella decisione del Comitato di Transizione autonominato di passare come un carro armato sul lavoro di aggregazione portato avanti con continuità e abnegazione dalle compagne e dai compagni de L’altra Liguria – analogamente, peraltro, a quanto fatto anche con L’altra Sardegna, L’altra Calabria e L’altra Emilia Romagna – ignorandone o misconoscendone le scelte, insieme a quelle delle tante forze con cui questa struttura locale de L’Altra Europa era riuscita a costruire un primo embrione di coalizione sociale nel corso di mesi di lavoro. E nella decisione di  appoggiare invece, senza consultare nessuno degli organismi interessati, la candidatura  Pastorino: che è stata imposta  con modalità verticistiche e autoritarie da figure le cui passate prese di posizione contrastano frontalmente con i principi ispiratori e i punti programmatici della nostra comunità. Ma che rinnega soprattutto uno dei cardini dell’appello istitutivo de L’Altra Europa: quello di non candidare personaggi che ricoprono o hanno ricoperto di recente cariche elettive o ruoli dirigenti in partiti e istituzioni. Cioè, proprio la caratteristica che aveva maggiormente distinto il nostro progetto da tutti i tentativi più o meno unitari precedenti: quella che ci aveva permesso di raggiungere quel risicato 4 per cento che aveva fatto esistere L’Altra Europa come forza politica. Un principio, dunque, che per tutti noi dovrebbe avere valore statutario; ma che, a quanto sembra, verrà disatteso in tutte le liste regionali promosse sotto l’egida del Comitato di Transizione. Era questo, invece, e dovrebbe restare questo, insieme alla qualità dei candidati, il nostro vero “biglietto da visita” per milioni di elettori che hanno ormai deciso di dire basta con la politica come la si fa ora. Con questa presa di posizione il Comitato di Transizione ha voluto così confermare quello che per il documento Siamo a un bivio dovrebbe essere il cuore della strategia de L’Altra Europa di qui in avanti: l’unità – in vista di una fantomatica unificazione – tra i piccoli partiti della cosiddetta sinistra radicale e, forse, con un pezzettino della squalificata sinistra del PD.

In realtà entrambi quei documenti – Siamo a un bivio e la Scheda di adesione – non fanno che garantire una delega in bianco al gruppo che si è auto-insediato al comando di quel che resta dell’Altra Europa, mascherandosi all’interno di un Comitato di Transizione che di elettivo ha ben poco, essendo chiaro, come era prevedibile e previsto, che i suoi membri elettivi avrebbero scarsamente partecipato alle relative videoconferenze, mentre a prendere le decisioni sarebbe stato quel nucleo di circa venti persone che si è auto-imposto, senza soluzione di continuità, dalla campagna elettorale a oggi. Con questa ripetuta auto-riconferma quel nucleo si è di fatto ritagliato, all’interno dei circa quarantamila sottoscrittori dell’appello iniziale, un proprio piccolo “corpo sociale”, costituito da poco più di settemila adesioni (dopo averne preannunciate decine di migliaia, e aver detto che il vero referente erano il milione e centomila nostri elettori), ormai formato in gran parte da militanti di partiti: soprattutto di Rifondazione comunista, che fornisce il grosso dei partecipanti, mentre SEL si tiene in disparte, ma ha in mano le redini del gruppo di controllo. Questa gestione ha contribuito a far fuggire gran parte degli affiliati de L’altra Europa che erano stati attratti soprattutto dal suo carattere apartitico, per lo più dopo aver sperimentato per molti anni la militanza in uno o in diversi di quei partiti. Molte di quelle settemila adesioni, peraltro, sono puramente virtuali, perché non impegnano a nulla se non a gonfiare il numero dei delegati che ogni provincia può esprimere, votandoli in assemblee che per lo più raccolgono poco più di un quinto degli aventi diritto. Ma a rendere completa l’omologazione con le peggiori pratiche in uso nei congressi dei partiti è stata importata, per di più in un organismo ancora senza tessere, anche una “guerra delle tessere”: con adesioni virtuali effettuate “d’ufficio” da una burocrazia di partito, magari facenti capo a un solo indirizzo e-mail, come denunciato dal’’Associazione L’Altra Europa – Laboratorio Venezia).

Questi esiti devastanti sono il frutto del meccanismo elettorale messo a punto dal Comitato di Transizione che trasforma quel “corpo sociale” in un piccolo e insignificante partito; l’assemblea nazionale in un congresso per delegati; e l’organismo che verrà eletto da questi, su lista unica, in un comitato centrale inamovibile, garantendo così la perpetuazione di quel presunto gruppo dirigente. Più volte, nei corso dei mesi scorsi, era stato proposto di dar vita a una struttura organizzata del tutto differente: elezione di delegati – con mandato vincolante e  revocabili in ogni momento – da parte dei comitati locali e, attraverso questi, a livello provinciale e regionale; per poi eleggere tra questi, a rotazione, dei portavoce e dei responsabili delle principali funzioni dell’organizzazione. Perché  il problema non è certo la delega; la democrazia partecipata non la esclude, purché vincolata a un mandato, sempre revocabile e soggetta a rotazione. Ciò avrebbe dato all’Altra Europa quel carattere autenticamente federativo – del tutto assente nelle sedicenti “federazioni” dei partiti esistenti – che è garanzia ineliminabile di democraticità, evitando di riprodurre per l’ennesima volta la struttura centralizzata del partito novecentesco imposta da quel regolamento.

Con quel regolamento centinaia se non migliaia di compagne e compagni – tra cui anche io – sono stati di fatto esclusi dal “corpo sociale” dell’Altra Europa. Dei sei, e poi sette, promotori iniziali (poi garanti) del progetto ne è rimasto solo uno, Marco Revelli. E tutti gli intellettuali, gli artisti, gli studiosi, gli esponenti di rilievo dei tanti movimenti che si erano raccolti intorno al progetto iniziale de L’Altra Europa – un vero esercito – tra cui decine e decine dei nostre candidate e candidati ci hanno lasciato strada facendo. Così a Revelli, rimasto ormai solo, il gruppo che controlla l’organizzazione sembra aver delegato da tempo in esclusiva il compito – peraltro assai scomodo, per chi da anni teorizza la fine del “partito novecentesco” – di concepire, redigere, interpretare e poi sostenere con articoli e interventi pubblici, tutti i documenti che definiscono l’altalenante “linea politica” de L’Altra Europa: piegandola di volta in volta alle esigenze tattiche imposte dalla sua subalternità agli interessi dei partiti (in particolare di SEL) con cui si vorrebbe unificare: basti pensare al voltafaccia – tra il primo e il secondo “documento Revelli” – sulla costituzione del L’Altra Europa in associazione; o a quello sulla partecipazione alle elezioni regionali, prima (e anche ora, dove SEL intende presentarsi in coalizione con il PD) scartata, perché “le Regioni non contano nulla”; e invece sostenuta (dando a quello con SEL la priorità sui rapporti con tutti gli organismi interessati a costruire liste autonome dai partiti) dove SEL è costretta a prendere le distanze dal PD; o anche al voltafaccia nei confronti del tema “coalizione sociale”: prima marginalizzato e addirittura irriso; poi, dopo le uscite di Landini e Rodotà, riappiccicato in modo posticcio al “percorso unitario” della “casa comune”. L’esito di questa subalternità ha del grottesco: per esempio, l’assemblea de L’Altra Europa di Milano, che ha votato all’unanimità il documento Siamo a un bivio, ha anche votato a stragrande maggioranza di non prendere posizione sull’Expò (sull’Expò! Che  concentra proprio a Milano tutto ciò che di peggio ha saputo produrre un sistema che devasta il mondo: quello che si pretende di combattere). E questo perché l’argomento è “divisivo”: cioè metterebbe l’organizzazione in contrasto con la Giunta Pisapia, sostenuta da SEL e Rifondazione, che nell’Expò è impegolata fino al collo!

E’ ovvio che in questo contesto io, come migliaia di altre compagne e compagni che hanno sostenuto il progetto iniziale de L’Altra Europa, ci sentiamo nella condizione di “esuli in patria”. Lavoriamo – dispersi in tanti rivoli, alcuni interni a quel che resta del nostro progetto, altri già fuori e lontani da esso – a recuperarne lo spirito iniziale: tutti comunque convinti che il “percorso” che il Comitato Transitorio pretende essere stato “indicato” dall’assemblea di Bologna non ha futuro: non solo perché è una stanca e ancora più contorta riedizione di progetti di aggregazione tra forze politiche ormai prive di una propria ragion d’essere, ma ben decisi a salvaguardare la propria sopravvivenza, la propria identità e, soprattutto, i propri apparati (zavorra, come li definisce Stefano Rodotà). Quei   progetti sono già stati sottoposti alla prova dei fatti e sono falliti. E tuttavia, proprio prendendo lezione da quei fallimenti, oggi si stanno moltiplicando e stanno prendendo forma tanti punti da cui partire per far rivivere quello spirito unitario – fondato sulla partecipazione e attento ai processi sociali più che agli schieramenti partitici – che aveva animato l’adesione al progetto iniziale de L’Altra Europa. La politica vera dell’Altra Europa si fa lì, in tante forme differenti e per ora ancora scarsamente consapevoli delle proprie potenzialità. Ma è lì che contiamo di ritrovarci, senza alcuno spirito di rivalsa, con molti di voi, una volta che avrete preso atto che la strada imboccata con l’autoperpetuazione di un gruppo di comando sempre più subalterno alle logiche partitiche non ha futuro.

Guido Viale

P.S. Non sarò il 18.4. a Roma perché in quel giorno cade la commemorazione di un amico che per me è stato come un fratello

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